Accesso alle informazioni societarie per cessione quota

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Due Diligence e accesso alle informazioni societarie: tra diritto del socio e doveri dell’amministratore

In un contesto economico sempre più dinamico e competitivo, le operazioni di cessione di partecipazioni societarie sono all’ordine del giorno, sia nelle società quotate che in quelle a ristretta base partecipativa. Uno dei nodi centrali di queste operazioni è l’accesso alle informazioni societarie da parte dei potenziali acquirenti, che desiderano compiere una due diligence per valutare rischi e opportunità legati all’acquisto. Ma quali sono i limiti giuridici a questa attività? Il socio venditore ha diritto di pretendere l’accesso a dati riservati per sé o per conto dell’acquirente? Gli amministratori sono obbligati a consentirlo?

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A quali informazioni è possibile accedere

Il tema si innesta su un crinale delicato: da un lato il diritto del socio di vendere le proprie partecipazioni (il cosiddetto ius vendendi), dall’altro la tutela della riservatezza dell’impresa. Il bilanciamento tra questi due interessi contrapposti non è ancora stato affrontato in modo sistematico dalla dottrina, e la giurisprudenza ha prodotto finora una sola pronuncia di riferimento, la sentenza del Tribunale di Bologna del 23 luglio 2018. In essa, il giudice ha escluso la possibilità per un socio di società per azioni di pretendere, in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c., l’accesso a dati riservati per finalità di due diligence. L’interesse della società alla tutela delle proprie informazioni prevale, salvo che il rifiuto opposto dagli amministratori sia manifestamente arbitrario o contrario all’interesse sociale.

Il punto è proprio questo: chi decide se e quanto aprire le porte dell’azienda al potenziale acquirente? La legge assegna il potere gestorio agli amministratori e non all’assemblea, ma non vieta di stabilire, a livello statutario, criteri e limiti per regolare l’accesso alle informazioni da parte di terzi in simili contesti.

Accesso alle informazioni societarie per cessione quota

Due diligence e riservatezza: come trovare un equilibrio

Nel corso di una due diligence vengono analizzati documenti sensibili: contratti con clienti e fornitori, dati finanziari, brevetti, know-how aziendale, accordi con dipendenti chiave. Informazioni di questo tipo, se finite nelle mani sbagliate (magari di un concorrente camuffato da acquirente), potrebbero danneggiare seriamente la società.

Per questo motivo, anche quando vi è una volontà di vendere, gli amministratori devono valutare attentamente se e quanto autorizzare. La decisione dipenderà da molti fattori: il grado di avanzamento delle trattative, l’identità dell’acquirente, la sua solidità patrimoniale, l’eventuale sottoscrizione di accordi di riservatezza, e soprattutto l’oggetto della cessione. Un conto è vendere una quota di minoranza, un altro è cedere il controllo della società.

In quest’ultimo caso, infatti, l’operazione assume una valenza strategica che potrebbe incidere profondamente sul futuro dell’impresa. In simili circostanze, la due diligence si configura non solo come un diritto dell’acquirente, ma come un’esigenza funzionale a una transazione imprenditoriale di ampio respiro. E ciò può spingere gli amministratori a consentire l’accesso, sempre nei limiti dell’interesse sociale.

Differenze tra S.p.A. e S.r.l.

Il tema dell’accesso alle informazioni assume contorni diversi a seconda della forma societaria. Nella società per azioni, il diritto di informazione del socio è limitato (art. 2422 c.c.) e la gestione è riservata in via esclusiva agli amministratori (art. 2380-bis c.c.). Anche gli amministratori non delegati hanno margini informativi ristretti. In questo contesto, è difficile sostenere l’esistenza di un diritto autonomo del socio venditore a far svolgere una due diligence. Tuttavia, lo statuto può introdurre regole ad hoc, prevedendo ad esempio che in presenza di certe condizioni (vendita della maggioranza, acquirente non concorrente, sottoscrizione di NDA, ecc.) gli amministratori siano tenuti a consentire l’accesso.

Diversa è la situazione nella società a responsabilità limitata, dove il secondo comma dell’art. 2476 c.c. riconosce ai soci non amministratori un ampio potere di controllo. Costoro hanno diritto di consultare i libri sociali e i documenti amministrativi anche tramite propri professionisti. Questo potere, in teoria, potrebbe essere esercitato per agevolare la due diligence di un potenziale acquirente. Tuttavia, la dottrina più recente tende a distinguere tra il diritto di controllo “propriamente detto” e l’accesso per finalità estranee alla vigilanza, come appunto la vendita della partecipazione.

In questo caso, la clausola statutaria può giocare un ruolo centrale: con le maggioranze previste per la modifica dell’atto costitutivo, è possibile introdurre limiti, condizioni o addirittura escludere l’accesso per fini di due diligence, prevedendo che solo una decisione assembleare possa autorizzarlo.

Clausole statutarie: un valido strumento per prevenire conflitti

Una strada percorribile (e auspicabile) per gestire in modo equilibrato queste situazioni è quella di prevedere apposite clausole nello statuto. Tali clausole possono avere un diverso contenuto come quello di stabilire che l’accesso è ammesso solo a seguito di autorizzazione assembleare, così imporre che l’acquirente non sia un concorrente o che abbia firmato una lettera di intenti. È altresì possibile regolare le informazioni che possono essere condivise (escludendo, ad esempio, dati su clienti o processi industriali) oppure prevedere che, se un socio ottiene accesso, le stesse informazioni siano messe a disposizione di altri soci titolari di diritti di prelazione o tag-along.

Inoltre, lo statuto può anche prevedere forme di responsabilità attenuate per gli amministratori, qualora si attengano a quanto stabilito nella clausola.

Accesso a informazioni societarie

Il diritto del socio di vendere la propria partecipazione e quello del potenziale acquirente di essere informato devono essere bilanciati con la necessaria tutela della riservatezza aziendale. Il compito di stabilire se, quando e come consentire l’accesso alle informazioni sensibili spetta in via principale agli amministratori, che devono agire nell’interesse della società. Tuttavia, la disciplina statutaria può (e dovrebbe) intervenire per delineare un quadro chiaro e condiviso, capace di prevenire conflitti e garantire trasparenza.

Alla luce di ciò, appare fondamentale che in sede di redazione dello statuto o nei successivi aggiornamenti, i soci valutino l’opportunità di regolare espressamente le condizioni per l’accesso alle informazioni da parte di terzi interessati all’acquisto. Un’adeguata previsione statutaria può fare la differenza tra un’operazione fluida e una fonte di contenzioso.

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