Esclusione di un socio da società di capitali

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Esclusione dalla società di capitali

Come si è già avuto modo di dire con riguardo alle società di persone, anche nelle società di capitali (tendenzialmente srl e spa) l’esclusione si qualifica come una delle ipotesi del venir meno di un socio rispetto agli obblighi e ai diritti che precedentemente vantava nell’ambito della compagine societaria.

Il socio viene escluso generalmente quando si rende inadempiente rispetto all’obbligazione di conferimento in denaro o in natura o quando si verifica un’altra giusta causa di risoluzione del rapporto prevista dall’atto costitutivo. Al socio escluso viene ovviamente riconosciuto il rimborso della propria quota di partecipazione, che sarà proporzionale al patrimonio della società.

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Esclusione e recesso: che differenza c’è?

I due istituti, pur avendo l’effetto di sciogliere il rapporto sociale relativamente a un singolo socio, sono completamente differenti. Se nell’esclusione il socio subisce la volontà dell’assemblea, nel caso del recesso l’assemblea e la stessa società subiscono la volontà del socio di sciogliere il singolo rapporto sociale.

È però da precisare che il socio non può recedere arbitrariamente e indiscriminatamente. La legge disciplina i singoli casi in cui il recesso può essere esercitato. Sostanzialmente esiste una presunzione di legge su una giusta causa, per la quale il socio (che di fatto non ha concorso all’assunzione di una determinata decisione) potrebbe decidere di non voler più partecipare alla società. A fianco delle ipotesi legali, lo statuto sociale, in sede di costituzione e successivamente, può prevedere casi di recesso volontario, ove sono i soci stessi a prevedere casi che configurano giusta causa di scioglimento del singolo rapporto sociale.

Esclusione di un socio da società di capitali

Quando opera l’esclusione

Per quanto riguarda le srl, l’art. 2473 bis c.c. stabilisce che le ipotesi di esclusione devono essere riconducibili alla cosiddetta “giusta causa”, e devono essere tassativamente previste anche nello statuto della società.

Possono integrare giusta causa di esclusione le seguenti circostanze:

  • sopravvenuta incapacità del socio quanto allo svolgimento della prestazione oggetto del conferimento sociale;
  • condanna penale dichiarata con sentenza e susseguente interdizione;
  • sopravvenuta inabilitazione del socio;
  • inadempimento agli obblighi di conferimento;
  • perdita dell’abilitazione professionale allo svolgimento delle attività oggetto del conferimento;
  • svolgimento di attività concorrente con quella della società;
  • sistematica assenza dalle assemblee sociali o irreperibilità ripetuta.

Esclusione del socio moroso

Ai sensi di legge, sia nelle spa sia nelle srl, il socio che sottoscriva una partecipazione e decida di conferire denaro, può versarne solo il 25%. Il rimanente è da intendersi un credito della società, esigibile in ogni momento dagli amministratori. Se il socio, più volte sollecitato dagli amministratori, non adempie, essi devono metterlo in mora mediante diffida, che per le società di capitali avviene attraverso la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Nel caso in cui il socio, comunque, non adempia entro il termine di 15 giorni, gli amministratori devono decidere se promuovere azione esecutiva contro il socio oppure dare inizio alla procedura di vendita della partecipazione dello stesso. Detta procedura prevede che la partecipazione sia prima offerta agli altri soci e, in mancanza di offerte di acquisto, essa deve essere poi negoziata presso terzi (nel caso delle spa tramite una banca o di altro intermediario autorizzato). Se vi sono offerte di acquisto, il socio moroso viene sostituito da un nuovo socio mediante una cessione di quote stipulata dagli amministratori per conto del socio moroso. Se invece non vi sono offerte, il socio moroso viene dichiarato decaduto dagli amministratori e le somme già conferite sono trattenute dalla società a titolo di penale.

La decadenza è, infatti, un effetto della morosità/inadempienza. Essa è constatata dall’organo amministrativo e comunicata al socio moroso, diversamente dall’esclusione, che è una decisione rimessa alla volontà di un diverso organo, cioè l’assemblea dei soci.

Altre ipotesi di esclusione

Nell’atto costitutivo possono essere previste, oltre a quelle già menzionate, altre ipotesi di esclusione del socio, ad esempio:

– il caso in cui il socio distragga denaro appartenente alla società per realizzare finalità personali;

– l’utilizzo a titolo personale di beni della società;

– il fallimento del socio;

– in caso  di conferimento di un bene in godimento della società, il perimento del medesimo.

Tuttavia rientreranno sempre nell’ambito, imprescindibile, della giusta causa.

Notaio per l’esclusione del socio

In genere, l’esclusione del socio da una spa o da una srl non comporta la modifica dell’atto costitutivo o dei patti sociali, semplicemente perché, nelle società di capitali, le cause di recesso o esclusione sono già contemplate. Di conseguenza il Notaio, preso atto della deliberazione dei soci a maggioranza, sostanzialmente si limita a ratificare tale esclusione. Non essendo necessario l’atto pubblico, sarà sufficiente una scrittura privata autenticata dallo stesso.

Quello che il Notaio può fare, in queste situazioni, è controllare il rispetto delle norme previste dallo statuto: in particolare, ciò che conta è che il motivo di esclusione rientri nella “giusta causa”. In questo modo, si evita il contenzioso giudiziario.

Come funziona l’esclusione

La legge non parla specificamente di un procedimento di esclusione, ma piuttosto rinvia a quanto previsto riguardo al recesso (art. 2473) o al contenuto dell’atto costitutivo della società stessa.

Nel silenzio dello statuto in merito alla competenza sulla decisione di esclusione del socio, sembra sensato ritenere che questa vada attribuita all’assemblea dei soci. In questo caso, la delibera viene presa con il voto della maggioranza di questi, secondo le regole stabilite per le società di persone.

È possibile prevedere una clausola di esclusione?

Non solo è prevista, ma è quasi sempre presente nelle società di capitali.

La clausola di esclusione del socio moroso o inadempiente può sicuramente essere prevista fin dall’atto costitutivo. Prevedere tale clausola fin dalla costituzione della società è un atto di prudenza che permette, qualora si verifichi il problema in esame, di risolvere lo stallo assembleare con maggior rapidità rispetto al procedimento giudiziario.

Rimborso quota del socio escluso

Il socio escluso ha diritto al rimborso della sua quota di partecipazione, secondo quanto previsto dall’art. 2473 c.c. per l’ipotesi di recesso. La quota deve essere rimborsata nel termine di 180 giorni dalla data in cui gli viene comunicata l’esclusione.

Le modalità di rimborso si estrinsecano nella forma dell’acquisto da parte degli altri soci o di terzi con completa facoltà di disporre della quota da parte degli amministratori. Il rimborso, in alternativa, può avvenire mediante l’utilizzo di riserve disponibili o mediante la riduzione del capitale sociale applicando la disciplina prevista all’art. 2482. Non è necessario il consenso del socio escluso per procedere.

Cosa può fare il socio escluso

Sembrerebbe pacifico che la disciplina della notifica dell’esclusione del socio, non rinvenendosi nelle norme relative alle società di capitali, trovi riscontro in quelle sulle società di persone.

Al socio che sia assente dalla riunione decisiva dovrebbe essere comunicata la decisione relativa all’esclusione mediante comunicazione motivata che non richiede particolari formalità: si richiederebbe solo che l’idoneità a informare tempestivamente il socio. La data in cui viene comunicata l’esclusione ne conferisce operatività decorsi 30 giorni dalla stessa.

A questo punto, il socio in disaccordo con la decisione di esclusione può impugnarla rivolgendosi al giudice o all’organo collegiale indicato nell’atto costitutivo. Tale diritto va fatto valere teoricamente entro 30 giorni dalla comunicazione dell’esclusione. Se però la decisione si assume con delibera assembleare, il termine è più ampio.

In caso di impugnazione, il procedimento in questione può essere sospeso (viene quindi sospesa l’efficacia della delibera di esclusione) se lo stabilisce il giudice o se è prevista una clausola che consenta al collegio adito di pronunciarsi sulla sospensione.

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